I CAMBIAMENTI CLIMATICI
E
LA PREVISIONE DEI TERREMOTI

Book-Trailer del libro "ELIOGEOSISMOLOGIA (EGS)"

Book-Trailer del libro "ELIOGEOSISMOLOGIA (EGS)" - Dr. Samuele Venturini

ELIOGEOSISMOLOGIA (EGS)

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Lo studio dei precursori sismici.

La biologia dei terremoti e degli eventi naturali estremi

Gli eventi naturali estremi (o calamità naturali) hanno da sempre affascinato, interessato e intimorito l’umanità. Recentemente grazie al progresso tecnologico ma soprattutto a un approccio olistico e interdisciplinare, sono stati compiuti importanti passi avanti nella comprensione, nella prevenzione e nella previsione dei disastri naturali.

Una delle domande più ricorrenti e antiche in ambito filosofico e scientifico è: “i terremoti si possono prevedere?”. In quest’opera è racchiuso un affascinante percorso multidisciplinare che porterà il lettore a scoprire che la risposta a tale quesito è affermativa. Dalla storia alle tradizioni, dai fallimenti ai successi, dalla metafisica alla scienza, dalla metabioevoluzione all’eliogeosismologia. È quest’ultima un nuovo paradigma, una nuova disciplina poliedrica e olistica, che si occupa dello studio dei precursori sismici, della previsione dei terremoti, della ricerca sugli eventi naturali estremi. Ogni cosa nel mondo esiste in quanto interazione tra i singoli fattori e il tutto, in un continuo divenire di eventi, di manifestazioni, di cicli e di evoluzioni. Prevedere i terremoti significa studiare il comportamento anomalo degli animali (SAAB), monitorare le anomalie elettromagnetiche, i parametri della ionosfera, l’attività solare, il tempo spaziale, ecc. Quest’opera vuole fornire gli strumenti teoretici e pratici per avvicinare il lettore – chiunque esso sia – alla scoperta e alla conoscenza di questo nostro e sempre più affascinate mondo in cui viviamo. Conoscere meglio i fenomeni naturali estremi come i terremoti consente una maggiore preparazione nel percepire, nell’affrontare e nel convivere con tali eventi facenti parte della nostra vita.

“ELIOGEOSISMOLOGIA (EGS)” è il sesto libro che fa parte della collana “Bios” del dott. Samuele Venturini (biologo, scrittore, ricercatore) edito dalla casa editrice Castel Negrino.


COMUNICAZIONE

In questi ultimi anni in cui l’informazione è aumentata, è facile purtroppo cadere vittima di percezioni sfalsate (bias) relativamente agli andamenti dei disastri naturali (ENE). In una società così frenetica, purtroppo ci si ferma solo al titolo di una notizia o di un articolo (spesso scritto da chi non ha la minima competenza dell’argomento) e quindi si preferisce fare un atto di fede e credere nell’informazione sovente non verificata che viene emanata dai mass-media. In realtà sarebbe molto importante e utile in questi casi non accettare i dogmi imposti, soprattutto in ambito scientifico. Occorre cioè prendersi il proprio tempo e andare a fondo della notizia, informarsi, leggere, comprendere (quindi studiare) e farsi un proprio senso critico mediante la propria ragione critica. In che modo dunque? Ponendosi, e rispondendo, ad alcune domande fondamentali:

1)     Ma è davvero così?

2)     E’ già accaduto in passato?

Il dubbio, e solo il dubbio, è il motore del progresso, della scienza in quanto strumento atto a implementare la conoscenza, lo scibile umano. Infatti, mentre alla prima domanda si risponde con lo studio e la ricerca di nuove fonti e i più diversi approcci nonché punti di vista, il secondo punto prevede delle risposte dicotomiche ossia:

-         Se è già accaduto in passato allora un tale evento ricade nella ciclicità più o meno regolare del medesimo.

-         Se non è mai accaduto in passato allora:

o   O non ne siamo a conoscenza per mancanza di informazioni o di strumenti atti a indagare ciò;

o   O se ne prende atto e si arricchisce la propria conoscenza (per esempio un evento potrebbe manifestarsi con la nascita di nuovi cicli della durata anche di milioni di anni).

Come è scritto nell’opera EGS: “La Scienza è tutto fuorchè certezza”. Stando a indicare la fondamentale importanza del dubbio, dell’indagine, della ricerca appunto che è la linfa vitale della conoscenza.

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La figura sopra mostra come gli andamenti degli ENE siano in realtà costanti nel tempo. Significa che non vi sono andamenti riconoscibili che possano mostrare un incremento o una diminuzione degli stessi. Tutto fluttua entro valori standard secondo frequenze metacicliche. Eventuali aumenti numerici degli ENE sopra riportati sono dovuti, in questo caso, alla messa in funzione e utilizzo di strumenti satellitari e rilevatori sempre più sofisticati e sensibili. Va ribadito anche come dagli anni del secondo dopo guerra (dal 1945 d.C.) a oggi, la popolazione umana sia aumentata notevolmente.

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Parallelamente anche l’urbanizzazione è aumentata con i relativi aumenti dei pericoli derivanti dal dissesto idrogeologico, dalla deforestazione, dal consumo di suolo, ecc.

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Infine è d’uopo ricordare come la Ricerca – quella vera – e la Scienza – quella vera – procedano per dubbi, discussioni (contradditori, dibattiti, confronti), tentativi e errori. Proprio questi ultimi sono molto importanti tanto quanto i successi. Infatti è grazie agli sbagli, agli errori appunto, che è possibile mettersi in discussione al fine di ottimizzare la strada della Conoscenza, della Scoperta e per migliorare, ampliare e fortificare le proprie idee e i propri concetti nonché punti di vista. Gli errori oltremodo permettono di affinare meglio le risorse investite nei vari ambiti ossia gli errori e i fallimenti evitano di perseverare nelle ideologie che i fatti hanno dimostrato essere appunto sbagliate. Parallelamente a ciò, la Scienza non è mai uguale a sé stessa ma esistono numerose discipline e numerose “Scienze” tali per cui uno stesso metodo non può andare bene per tutte. È il caso, per esempio, dei molti fallimenti dei modelli climatici, biologici, medici, comportamenti, psicologici, ecc. Un esempio emblematico è dato proprio dalla Metabioevoluzione e nello specifico dall’Eliogeosismologia appunto. In questa disciplina anche un solo risultato diverso dagli altri a parità di metodo, deve essere sempre preso in considerazione. Mi riferisco soprattutto al fatto che i metodi per prevedere i terremoti sono variegati e alcuni funzionano meglio di altri, ma finchè sarà possibile salvare vite, tutti i metodi devono esser attuati o quanto meno presi in considerazione.


INCENDI

Gli incendi sono visti come un normale processo ecologico nella foresta boreale, a eccezione di quelli antropici non controllati (dolosi). Per comprendere bene gli incendi non bisogna mai fermarsi ai soli dati quantitativi (numero di roghi, superficie bruciata) ma occorre rapportare e confrontare questi dati con le serie storiche passate (decadali e secolari), con l’estensione non solamente del singolo Paese “politico”, bensì con l’estensione geografica della superficie totale del continente. Occorre anche valutare i parametri meteo-climatici pluriennali come per esempio gli indici teleconnettivi, perché influiscono sulla formazione qualitativa e quantitativa della sostanza organica in grado di fungere da combustibile. Infine occorre valutare attentamente le cause di innesco degli incendi, che possono essere naturali (fulmini, eruzioni vulcaniche, particolari eventi termici come le ondate di calore), artificiali (soprattutto di origine dolosa, ma anche dovuti ai guasti alle linee elettriche dell’alta tensione) o una combinazione di entrambi (per esempio i terremoti che possono cagionare danni ai gasdotti o agli impianti elettrici).

Gli incendi rappresentano, quindi, un importante processo naturale che coinvolge la superficie terrestre e l’atmosfera da oltre 350 milioni di anni e anche le società umane hanno convissuto con questo fenomeno. Recentemente però la percezione di alcune persone e di alcuni mezzi di comunicazione considera gli incendi come un fenomeno in aumento. Analizzando bene i dati spaziotemporali e conoscendo l’origine e le caratteristiche sia dell’incendio stesso che del luogo in cui esso arde, è possibile dimostrare come in realtà le aree globali bruciate siano diminuite rispetto ai decenni e ai secoli passati. Sono purtroppo aumentati i casi di incendi dolosi che si verificano prevalentemente a ridosso degli agglomerati rurali o urbani in via di sviluppo. Le principali e le tipiche aree più soggette agli incendi naturali al mondo sono la Siberia (taiga), il Canada e l’Alaska (foresta boreale), la California, il Brasile (Amazzonia), l’Indonesia, l’Africa (savana), l’Australia (bush) e parte dell’Europa come il Portogallo e l’Italia (macchia mediterranea). Gli incendi rilasciano CO2 in atmosfera ma in pochi mesi, generalmente entro un anno, la vegetazione tipica di questi ambienti ricresce rigogliosa grazie alla CO2 emessa dagli incendi che viene riassimilata e va a costituire la sostanza organica vegetale sottoforma di nuove comunità di piante. Tra settembre 2019 e marzo 2020 la parte sud-orientale dell’Australia ha subito una serie di incendi devastanti sia per estensione che per intensità. Questi territori (soprattutto il New South Wales) sono naturalmente predisposti agli incendi in quanto rappresentano un fattore ecobioevolutivo di estrema importanza per la vitalità di questi ecosistemi. Non esiste però una vera stagionalità perché gli incendi boschivi australiani (bushfires) occorrono durante tutto l’anno, con variazioni a seconda della regione di riferimento. Nonostante la maggior parte delle cause di innesco di tali eventi sia, negli ultimi decenni, da ricercarsi nell’origine dolosa degli stessi – seguita dai fulmini, dai periodi di siccità (come quello protrattosi dal 2017 al 2019, così come altri eventi simili accaduti nei decenni passati) e dalle ondate di calore – tali eventi mettono in moto meccanismi di resistenza e di resilienza ecobioevolutivi appunto, tali per cui gli ecosistemi riescono, in tempi consoni alle loro dinamiche, a riprendersi con vigore e raggiungere così l’equilibrio ecobioevolutivo di appartenenza. I periodi ciclici di siccità che investono l’Australia sono causati dalle interazioni tra gli indici teleconnettivi e le dinamiche oceano-atmosfera sia di origine Indiana che Pacifica. Gli indici principalmente coinvolti in questi eventi sono ENSO e soprattutto IOD (Indian Ocean Dipole). Tali fattori sono a loro volta modulati dall’attività solare. Come riportato nelle immagini satellitari (NASA), si può osservare il variare dell’estensione della vegetazione rispettivamente al 14 ottobre 2019 e al 14 ottobre 2020 nell'Australia sud-orientale. Ciò dimostra come, a pochi mesi dopo la devastante stagione degli incendi del 2019/2020, gli ecosistemi locali si siano positivamente ripresi, aumentando, rispetto all’anno passato, la copertura vegetativa.

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ORSI POLARI

L’orso polare, nome scientifico Ursus maritimus, è un mammifero marino. Viene classificato come tale perché la sua vita dipende proprio dall’oceano artico e dell’habitat che appunto si crea intorno a questa zona del pianeta. È un animale perfettamente adattato all’ambiente artico, ai ghiacci e alla dinamica dei ghiacci, perché nella stagione calda si sciolgono e quindi deve avere a che fare con l’acqua aperta. Secondo alcuni studi di paleontologia, paleobiologia ma anche a livello genetico si stima che l’orso polare possa essersi originato e dunque evoluto tra 300.000 e 6 milioni di anni. Quali sono le minacce che incombono su questa specie artica? Il primo posto lo occupano la caccia e il bracconaggio. Ma l’orso polare purtroppo subisce anche la pressione antropica. Succede infatti che i villaggi e gli esseri umani che vivono nelle zone, possono abbandonare i rifiuti e avendo un olfatto molto potente, si avvicina ai villaggi creando tensioni e purtroppo la maggior parte delle volte si sopprime. Poche volte invece viene catturato e trasportato altrove per essere liberato. Altre cause di minaccia sono le rotte delle navi commerciali, lo scavo dei pozzi petroliferi ma anche la caccia e il bracconaggio alle sue prede. Si pensava che una minaccia fosse dovuta alla mancanza di ghiaccio ma in realtà dai rilevamenti satellitari e proxy (di prossimità), si è osservato che i ghiacci fluttuano e nel tempo l’orso polare si è adattato a vivere anche in condizioni con poco ghiaccio. Recentemente la comunicazione sullo stato di conservazione dell’orso polare è stata contaminata da false informazioni e interpretazioni distorte. Per esempio iconica è l’immagine dell’orso polare sull’iceberg che vaga per l’oceano. In realtà gli orsi polari sono ottimi nuotatori, potendo raggiungere anche velocità di 10 km/h nuotando e possono percorrere sempre a nuoto distanze di centinaia di km. Ogni tanto si riposano normalmente proprio sugli iceberg. Un’altra immagine emblematica è riferita all’orso “emaciato” (magro e scheletrico). In un ambiente come l’artico, è normale che gli animali muoiano con maggior frequenza di fame, ma anche di malattia, come è naturale che accada. L’orso emaciato fotografato e strumentalizzato come “dimostrazione del riscaldamento globale antropico” in realtà si è scoperto a seguito di analisi biologiche che l’esemplare era malato di tumore. In natura tutti gli animali sono potenzialmente soggetti a malattie ma il problema grave in questo caso è stato travisare un fatto, che magari può essere raro da vedere (ma non per questo significa che accada raramente), rendendolo uno spettacolo mediatico, trasmettendo una percezione distorta e quindi un’informazione falsa, sbagliata presso l’opinione pubblica e non solo. In questo caso la troupe e la redazione che avevano sparso tale notizie si sono successivamente scusati pubblicamente, anche se ormai il “danno mediatico” era stato fatto ossia, in altri termini, il loro obiettivo era stato raggiunto. Un’altra situazione emblematica è stata quella relativa ai trichechi che si gettano giù dai dirupi a causa – a detta di chi ha confezionato il servizio giornalistico – del riscaldamento globale antropico (o crisi o emergenza climatica). In realtà le sequenze filmate precedentemente a questo evento hanno dimostrato come in realtà, per l’ennesima volta, ciò non corrispondesse alla vera realtà dei fatti. Infatti la causa di tale evento va ricercata nella presenza di orsi polari che stavano appunto cacciando i trichechi alcuni dei quali, per la paura e la confusione, precipitarono dalle scogliere con esito letale. E’ dagli anni 70 e 80 del secolo scorso (XX) che i biologi ricercatori sono a conoscenza di questi fatti. L’Orso Polare è un predatore opportunista, per via dell’ambiente estremamente impervio quale è l’Artico, e pertanto si ciba di foche, renne, caribù, beluga, trichechi, narvali, carcasse, alghe, vegetali e attua anche il cannibalismo. Attualmente (2021) si stima che ci siano circa 30.000-39.000 orsi polari ma è molto difficile da censirli per via dell’ambiente estremamente impervio. Se l’uomo asseconderà la natura con i propri ritmi allora l’orso polare sarà protetto e questa specie starà con noi ancora per molto, moltissimo tempo.

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ANTARTIDE E CRIOSFERA (GHIACCIAI)

La penisola antartica è un lembo di terra del vasto continente antartico posto più a nord dello stesso e, a causa delle sue peculiarità geografiche e geologiche, rappresenta per questo continente un caso unico da un punto di vista climatologico. Risulta infatti protesa verso l’oceano Pacifico meridionale venendo così coinvolta e attraversata dalle varie correnti tra cui spicca la famosa corrente circumpolare antartica. Nella zona di Hope Bay della Penisola Trinity, risiede anche una caldera glaciale la quale con la sua attività geotermica può alterare il regime termico stagionale e tramite l’azione dei venti di Fohn può portare allo scioglimento di alcuni tratti di ghiaccio. Questa porzione di Antartide è caratterizzata da un clima marittimo con temperature sopra i 0°C per diversi mesi all’anno. Ogni anno dal continente antartico si distaccano decine di migliaia di iceberg. Ciò fa parte del naturale ciclo della criosfera. I ghiacciai fanno parte della criosfera che, per sua stessa natura, presenta cicli complessi, irregolari e che dipendono per buona parte dalle fluttuazioni dell’attività solare su scala decadale, secolare e millenaria. A queste si aggiungono gli indici teleconnettivi e le interazioni oceano-atmosfera. Il ciclo dei ghiacciai alpini europei è anche influenzato dalle correnti a getto, dagli indici teleconnettivi e dai fenomeni atmosferici locali. Mentre alcuni ghiacciai alpini europei si ritirano, altri ghiacciai asiatici sono cresciuti in termini di massa glaciale. Un altro esempio emblematico è dato dall’Islanda. Questa è un’isola geologicamente giovane, originata dall’attività sismo-vulcanica della dorsale oceanica atlantica, che presenta forti contrasti climatici ed è soggetta a eventi sismici moderati/forti ma soprattutto a fenomeni copiosi di attività vulcanica. La Corrente del Golfo, le altre correnti e i venti zonali, dominano i parametri termici – e non solo – del clima islandese. Numerosi sono i vulcani, alcuni dei quali presentano alla loro sommità dei ghiacciai. È il caso del ghiacciaio Okjokull, che sovrasta il vulcano “Ok”, situato in una zona soggetta ai flussi geotermici e facente parte dell’area contenente il relativo gruppo di ghiacciai e denominata “Langjokull”. È quindi fondamentale riferirsi sempre e solo al gruppo glaciologico di appartenenza, senza commettere l’errore, o il bias, di assurgere i singoli ghiacciai – estraniandoli per giunta dal contesto geobioevoluivo – a indicatori climatici. Si deve tener conto che sotto i ghiacciai oggi esistenti vi sono resti di vegetazione passata. Significa quindi che è nella normalità ciclica l’assenza di ghiacciai in certe aree alpine europee, come era già accaduto in passato.

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PINGUINI

I cambiamenti nella dinamica di popolazione dei pinguini nella penisola antartica sono stati collegati a diversi fattori ambientali, tra cui quello più importante risulta essere l’impatto devastante dovuto all’attività vulcanica. Nella zona del mare di Ross in Antartide risiedono alcune colonie di pinguino imperatore (Aptenodytes forsteri). I dati ottenuti da un periodo di monitoraggio (2000-2012) mostrarono larghe fluttuazioni demografiche in singole colonie. Ne consegue che tali colonie non possono essere impiegate come buone sentinelle ambientali. Questo perché la specie non è legata a un solo sito di nidificazione come fanno altre specie di pinguini, ma gli individui possono muoversi da una colonia a un’altra. Le particolari condizioni ambientali provocano morie di massa sia dei pulcini che degli adulti ovunque. Se i fattori trofici (disponibilità di cibo) e ambientali (fluttuazioni del ghiaccio marino) non sono idonei, allora gli individui adulti possono saltare l’annata riproduttiva o spostarsi altrove. Esistono diverse specie di pinguini: quelli adattati ai climi caldi e quelli adattati ai climi freddi. Gli areali di distribuzione delle diverse specie coprono superfici assai vaste e spesso non ancora del tutto monitorate. Specie di pinguini si trovano lungo tutto il perimetro del continente antartico, in Sud America, in Australia Meridionale, in Nuova Zelanda, in Sud Africa, in Madagascar e nelle isole degli oceani meridionali (Atlantico, Indiano, Pacifico). Per le caratteristiche della loro biogeografia, etologia e dinamica di popolazione in concerto con le mutevoli e spesso estreme condizioni ambientali, rendono questo animali imprevedibili ma altamente adattabili e pertanto non idonei a assurgere al ruolo di indicatori climatici.

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BARRIERE CORALLINE, ATOLLI E ISOLE (LIVELLI DEI MARI)

I terremoti, gli tsunami, le eruzioni vulcaniche, i tifoni e anche gli eventi meteo-climatici (per esempio El-Nino) possono causare con diverse modalità impatti di varia entità alle barriere coralline. In passato anche le glaciazioni, le fluttuazioni del livello dei mari e le variazioni di temperatura hanno portato a drastici declini di questi ecosistemi. Nonostante ciò, le caratteristiche di resistenza e resilienza unite a altri processi ecobioevolutivi (si pensi al bleaching o sbiancamento) permettono alle barriere coralline di riprendersi secondo i propri tempi, modi e secondo la causa del disturbo. Alcuni studi hanno osservato che i coralli dopo il bleaching presentano un tasso di ricolonizzazione con maggiore biodiversità rispetto a prima, così come i coralli che crescono sopra le colate laviche sono più ricchi di specie rispetto al periodo precedente l’evento disturbatore.

 

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Un'analisi su scala globale di 221 isole nel Pacifico tropicale e nell'Oceano Indiano rivela "una tendenza prevalentemente stabile o di accrescimento nell'area delle isole degli atolli in tutto il mondo" per tutto il 21° secolo. Le isole delle Maldive da sole si sono ampliate di 37,5 km² dal 2000 al 2017. Un'analisi su scala globale del 2019 di 709 isole negli oceani Pacifico e Indiano ha rivelato che l'89% era stabile o in crescita e che nessuna isola più grande di 10 ha (e solo l'1,2% delle isole più grandi di 5 ha) era diminuita di dimensioni dagli anni '80. Una nuova analisi delle tendenze post-2000 indica anche costa stabile su scala globale in espansione per centinaia di isole del Pacifico e dell'Oceano Indiano, con oltre la metà della crescita netta (39 km² di 62 km²) verificatasi dal 2013 al 2017.

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Altri due studi pubblicati separatamente da un team di scienziati (Sengupta et al., 2021 e Sengupta et al., 2021) utilizzano fotografie aeree risalenti agli anni '40 (e '60 e '70) di 104 e 71 isole di barriera nel Pacifico equatoriale (Micronesia, Isole Gilbert) per confrontare i cambiamenti del litorale nel tempo. Gli scienziati hanno scoperto che c'è stata un'espansione netta del litorale rispettivamente del 3% e del 2,45% nelle 104 e 71 isole analizzate negli ultimi 50-75 anni.

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Nonostante l'innalzamento del livello del mare, un'analisi globale del 2019 (Duvat, 2019) ha rilevato che l'89% delle 709 coste insulari è rimasto stabile o in crescita negli ultimi decenni. Un nuovo studio solo sulle Maldive (Duvat, 2020) rileva una rapida crescita costiera (da >3 a >50%) in 110 delle 186 isole delle Maldive dal 2005 al 2016. Solo 5 isole – 2,7% – si sono effettivamente ridotte di dimensioni durante questo periodo.

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Dal 2005, 110 (59,1%) delle 186 isole studiate sono cresciute di ≥3%. Di queste 110 isole in espansione, 57 sono cresciute del ≥10% e 19 sono cresciute del ≥50% (Duvat, 2020). Ancora una volta, è solo nell'ultimo decennio. Delle isole che non si sono espanse di dimensione, il 38,2% (71 isole) sono state classificate come stabili (definite come né in crescita né in contrazione di oltre il 3%). Restano solo 5 isole su 186 (2,7%) che sono diminuite di dimensioni dagli anni '80. In altre parole, dal 2005 il 97,3% delle isole delle Maldive è stabile o cresce di dimensioni.

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Un altro nuovo studio (Kench et al., 2020) presenta in modo utile il contesto a lungo termine del livello del mare dell'Olocene per le Maldive. Scopriamo che le isole che si trovano oggi sul livello del mare sono state sommerse sotto l'acqua del mare non più di 3000 anni fa. Da circa 4.000 a 2.000 anni fa, il livello del mare delle Maldive era di circa 0,5 m sopra quello attuale. Oscillazioni naturali di ~0,8 m in pochi secoli si sono verificate nelle ultime migliaia di anni, inclusi cali durante la Piccola era glaciale tardoantica (~1600 anni fa) e la Piccola era glaciale (~400 anni fa). I moderni cambiamenti del livello del mare non sembrano cadere al di fuori della gamma di variabilità naturale


CLIMA

Il clima terrestre, in quanto tale, è in continuo mutamento essendo esso stesso la manifestazione metabioevolutiva di fenomeni di compensazione e di isteresi a loro volta di natura ciclica – regolare e irregolare – e quindi mutevole ossia in divenire e in perenne interconnessione. Il “tutto” non è la somma dei singoli fattori, bensì l’interazione tra gli stessi. In passato la Terra è stata, rispetto a oggi (2020), più calda, più fredda, l’atmosfera ha avuto una concentrazione di CO2 maggiore e minore, i livelli dei mari sono stati più alti e più bassi. Tutto fluttua entro valori metaciclici. Le popolazioni naturali rispondono ai naturali cambiamenti climatici variando la propria distribuzione geografica (biogeografia) e i tempi di crescita, di diffusione e di riproduzione (fenologia). Tali cambiamenti sono in grado di alterare la composizione delle comunità ecologiche (ecobioevolzione) e le interazioni tra le specie (etobioevoluzione). Le specie possono rispondere positivamente (sopravvivenza, adattamento, evoluzione) o negativamente (estinzione) a tali cambiamenti. Gli animali, oltre a presagire l’arrivo dei terremoti, possiedono anche un’innata dote di meteoropatia. Ciò significa che sovente i comportamenti anomali adottati dagli animali possono essere una risposta a entrambi gli stimoli ossia quelli di origine sismica e quelli di origine meteo-climatica. Non di rado però si può assistere a morie di massa di animali dovute a una valutazione errata delle condizioni meteo-climatiche.

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Il clima varia perché il cambiamento è nella natura stessa del clima. Eppure pochi di noi pensano a questa naturale ma fondamentale caratteristica. Dalla fine dell’ultimo periodo glaciale a oggi, i ghiacciai dell’Alaska, della Scandinavia e delle Alpi si sono ritirati – e riformati – varie volte. Dai rilevamenti paleoclimatici, le piccole glaciazioni si verificano a intervalli di circa 2.500 anni e durano mediamente da 300 a 700 anni. Nonostante il susseguirsi di epoche fredde, il clima post-glaciale è abbastanza costante, fluttuando entro valori limite della media cronogeologica. Le condizioni meteorologiche riguardano il tempo atmosferico locale e giornaliero; l’andamento delle precipitazioni autunnali, della nevosità invernale, delle ondate di calore estive, rappresentano la variazione stagionale; più stagioni umide, oppure secche, calde o fredde possono significare una variazione naturale del clima. Il clima ha una scala cronogeologica che va dai continenti al globo e da alcuni decenni a svariati millenni. È importante quindi non confondere le anomalie meteorologiche (finanche su scala annuale o pluriennale) con l’andamento climatico. Il clima è configurato da moltissimi indici tra cui le correnti oceaniche, gli indici teleconnettivi e l’attività solare che sono più costanti dei flussi d’aria atmosferici, a loro volta influenzati da altri fattori che possono collimare su livelli sub-armonici con gli indici climatici (indici teleconnettivi).

METEO = condizioni atmosferiche in un breve lasso di tempo e in uno spazio ristretto.

CLIMA = condizione atmosferiche in un lasso di tempo molto lungo (secoli e millenni) e in uno spazio vasto, anche su scala globale.

 

L’anidride carbonica (CO2) è un GAS VITALE perché è fondamentale per tutti gli esseri viventi. Entra in gioco infatti in quel famoso metabolismo preziosissimo che prende il nome di “fotosintesi”. Tale reazione consiste nella produzione di ossigeno, energia e quindi di sostanza organica (zuccheri, quindi crescita delle parti vegetali come frutti, radici, semi, ecc.) tramite la trasformazione dopo assimilazione di acqua (H2O), luce solare ma soprattutto Anidride Carbonica (CO2). Parliamo in fin dei conti del ciclo del Carbonio. Se aumenta la CO2, per compensazione o più semplicemente, per equilibrio chimico, aumenteranno i prodotti ossia la crescita e il vigore appunto vegetale. Secondo recenti studi, la CO2 presenta un potenziale di gas serra minore rispetto al metano (CH4) e soprattutto rispetto al vapore acqueo (H2O). Quest’ultimo va a costituire le nubi. Proprio queste sono quelle che regolano la temperatura dell’atmosfera insieme all’attività solare che rappresenta – ricordiamolo – il vero e principale motore del clima. Tra i gas serra, il vapore acqueo rappresenta il 94% circa di tale attività. Ribadiamo inoltre che l’effetto serra è fondamentale per il mantenimento della vita sulla Terra. La CO2 viene implementata come concentrazione anche nelle serre appunto proprio per avere una maggior resa vegetativa. Un recente studio della NASA ha dimostrato infatti che in 35 anni, grazie all’aumento della CO2, la Terra è diventata più verde (greening). Significa che le foreste si sono riprese più velocemente in caso di incendi, che i deserti sono leggermente diminuiti di area e che le singole piante presentano un maggior vigore vegetativo (per esempio un numero di foglie maggiore per rami).

Naturalmente come in tutte le cose esiste un limite entro cui la CO2 può aumentare e che sia in grado di essere biocompatibile e questo limite oggi (a 400 ppm) è ancora ben lontano dall’essere raggiunto. Mediamente si possono toccare punte anche ben oltre un completo raddoppio del valore attuale. Per comprendere meglio e definitivamente il motivo per cui la CO2 non è né un problema né men che meno un gas tossico e neppure rappresenta una emergenza o una crisi climatica, basti pensare che l’atmosfera terrestre è costituita per il 78% circa da Azoto, il 21% circa da Ossigeno e lo 0.9% circa da altri gas tra cui metano, argon, neon, elio, vapore acqueo, anidride carbonica e altri gas. La CO2 rappresenta a oggi lo 0.04% (400 ppm) della composizione atmosferica. Di questo 0.04%, il 96% circa è di origine naturale (prevalentemente dai processi geologici come i vulcani, poi dalla respirazione degli esseri viventi piante incluse) mentre il restante 4% circa – ripeto: il 4% dello 0.04% - è di origine antropica causato dall’utilizzo dei combustibili fossili. Ma i combustibili fossili non sono nient’altro che il carbonio presente un tempo sulla superficie terrestre. In pratica non vi è alcuna immissione di “nuova” CO2. Quella antropica viene inglobata nel naturale e perenne ciclo del carbonio. I gas come la CO2, dopotutto, dipendono per buona parte dai parametri termici ambientali. Significa che è la variazione di temperatura a modulare la concentrazione di CO2 e non viceversa. La non correlazione dimostrata dai dati e dai grafici relativi dimostra proprio quanto asserito poc’anzi.

 

Il caso del Permafrost: sia 1000 anni fa che 10.000 anni fa dove oggi abbiamo il permafrost, vi erano foreste di conifere e anche di betulle. Questo perchè il clima cambia in maniera esclusivamente naturale per i cicli secolari e millenari ma soprattutto a causa delle relative dinamiche atmosferiche (indici teleconnettivi) dipendenti esclusivamente dal Sole. Cosa succede? Che in luoghi come Norilsk in Russia si è costruito dove geologicamente non si deve costruire nulla! Sarebbe come costruire una casa sulla spiaggia e poi lamentarsi che una mareggiata la abbia distrutta. Il suolo dove si crea il permafrost è idrogeologicamente instabile e molto, molto malleabile a causa dei cicli stagionali di congelamento e scongelamento del ghiaccio appunto. Inoltre sotto il permafrost vi sono delle dinamiche geotermiche non indifferenti.

 

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Il Sole è il motore principale del clima terrestre, infatti, l’attività solare in correlazione con i raggi cosmici condiziona la dinamica della copertura nuvolosa e l’attività sismo-vulcanica (geologica) e quindi anche i cicli biogeochimici come quello del carbonio e quindi la CO2.

 

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EGS

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Questi studi sono pionieristici ma conferiscono solidità scientifica all’entusiasmante disciplina che si occupa dei precursori sismici e che io ho strutturato e denominato “ElioGeoSismologia (EGS)”. L’obiettivo di tale disciplina non è solo finalizzato alla previsione sismica, bensì allo studio degli ENE e delle interconnessioni tra cosmo, vita e ambiente in un approccio olistico e quindi mediante la metabioevoluzione. Dalle conoscenze così acquisite, risulta naturale come l’evoluzione di tale disciplina sia in grado di autorganizzarsi, rinforzandosi in maniera cognitiva sulla base delle conoscenze e dei risultati – positivi e negativi di egual importanza – integrati nel flusso teoretico. Si tratta di una disciplina con un metodo scientifico e di indagine a sé stante basato sulla teoretica in primis, sull’analisi dei dati a posteriori e sull’interazione tra più discipline. Da qui l’importanza dei termini probabilistici. EGS è una disciplina che studia molteplici fenomeni e le relative interconnessioni, ma proprio per questa sua caratteristica studia anche sé stessa, implementando autonomamente la propria conoscenza.

Molti ricercatori, enti e istituzioni (come Università russe, Governo giapponese, NASA, ecc.) e, nondimeno, tutte le persone interessate dal terremoto, percorrono la strada della conoscenza e della teoretica per giungere a una o più teorie unificanti dei precursori sismici. Tra questi ultimi vi sono quelli sismici propriamente detti e quelli non sismici. I primi sono per esempio: l’incremento della microsismicità, i tremori e la deformazione del suolo. I secondi invece sono cospicui e di varia natura. Qui se ne elencano alcuni:

• variazioni magnetiche;

• variazioni elettromagnetiche;

• emissioni nello spettro elettromagnetico visibile (luci sismiche o bagliori);

• variazioni nello spettro IR (anomalie termiche);

• variazioni nelle radiofrequenze;

• variazioni nei campi elettrici e magnetici (incluse le frequenze ULF, VLF, ELF, RF);

• fenomeni atmosferici (ionizzazione dell’aria);

• variazioni nei parametri idrogeochimici (parametri qualitativi e quantitativi delle acque) e emissioni di gas (radon, CO2, NOx, ecc.);

• variazioni ionosferiche (TEC);

 

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• comportamenti animali anomali (SAAB);

 

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• deformazioni superficiali (innalzamenti e/o abbassamenti del suolo);

• variazioni dei pozzi di petrolio;

• variazioni nella velocità delle onde sismiche;

• sismicità (sismografi, scosse premonitrici, teoria del divario sismico, o gap sismico, e ricorrenza sismica, emissioni acustiche a alta e bassa frequenza);

• mappe del rischio sismico. Per l’Italia si può fare affidamento a INGV: zonesismiche.mi.ingv.it.

 

 

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Solitamente il numero di anomalie dei precursori sismici tende a aumentare più ci si avvicina al momento del verificarsi dell’evento. Anche l’intensità delle anomalie dei precursori sismici tende a aumentare prima del verificarsi di eventi sismici maggiori. Infine, le anomalie dei precursori sismici tendono a manifestarsi in maniera notevole nell’area che più si approssima all’epicentro sismico. Il termine “precursore sismico” è impiegato per indicare una folta varietà di fenomeni fisici, chimici, biologici, che accadono prima del manifestarsi di un evento sismico significativo (tendenzialmente dalla magnitudo M = 5.0R in su). Un’altra caratteristica comune dei vari precursori sismici è che le anomalie più forti tendono a manifestarsi entro 1 mese circa dal verificarsi del terremoto. Più ci si avvicina al momento del terremoto, maggiori sono i precursori che possono essere osservati e monitorati. L’osservazione dell’aumento delle perturbazioni EM e dell’attività sismica (foreshocks) alcune ore prima di molti terremoti, suggerisce che ci potrebbe essere un tempo critico di preparazione nella regione di faglia prima che il terremoto significativo avvenga. Le anomalie dei precursori presismici, in media, si osservano fino a qualche centinaio di chilometri di distanza dall’epicentro, a seconda della tipologia di faglia e della magnitudo del terremoto. A oggi non si conosce ancora bene quanto grande possa essere un’area di superficie terrestre che emette anomalie EM o altri fenomeni precursori. Sebbene si cerchi di simulare in laboratorio ciò che accade in natura, non potrà mai corrispondere a ciò che accade realmente in natura appunto, per cui ogni modello è puramente indicativo e relativo ai fenomeni misurati. Esistono inoltre altri parametri non ancora studiati, osservati e compresi. I modelli teoretici, insieme a quelli sperimentali, indagano proprio la ricerca e la comprensione di tali fattori per i precursori sismici osservati. La strada della ricerca sui precursori sismici è sempre più promettente e realistica, ma la mole di dati da misurare, analizzare e comprendere è ancora vasta.

 

 

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Libri e pubblicazioni scientifiche:

-         Venturini S. – Eliogeosismologia (EGS) - Lo studio dei precursori sismici. La biologia dei terremoti e degli eventi naturali estremi – Castel Negrino, 2021

-         Venturini S. – Metabioevoluzione – Castel Negrino, 2019

-         Battaglia F. – Non esiste alcuna emergenza climatica – 21mo secolo

-         Battaglia F., et al. – Clima, basta catastrofismi – 21mo secolo

-         Singer F., et al. – L’ABC della scienza del clima – 21mo secolo

-         Giaccio M. – Il climatismo: una nuova ideologia – 21mo secolo

-         Crescenti U., Mariani L. – Cambiamenti climatici e conoscenza scientifica – 21mo secolo

-         Singer F. – La natura, non l’attività dell’uomo, governa il clima – 21mo secolo

 

Alcune Fonti consigliate e consultate:

-         https://www.attivitasolare.com/

-         https://www.metabioevoluzione.science/

-         https://polarbearscience.com/

-         https://notrickszone.com/

-         http://climatechangereconsidered.org/

-         http://www.co2science.org/

-         http://www.climate4you.com/index.htm

-         http://www.climatemonitor.it/

-         https://earth.gsfc.nasa.gov/cryo/data/current-state-sea-ice-cover

-         https://globalcryospherewatch.org/state_of_cryo/snow/

-         https://climatereanalyzer.org/wx/DailySummary/#t2

-         https://www.temis.nl/protocols/o3hole/index.php?lang=0

-         https://www.ncdc.noaa.gov/sotc/fire/202109

-         https://www.c3headlines.com/

-         https://ozonewatch.gsfc.nasa.gov/

-         http://polarportal.dk/en/greenland/surface-conditions/

-         https://ice-glaces.ec.gc.ca/cgi-bin/getprod.pl?prodid=MODISCOM-T&wrap=0&lang=en

-         http://ocean.dmi.dk/arctic/meant80n.uk.php

-         https://www.thegwpf.org/category/reports/

-         https://www.spc.noaa.gov/wcm/adj.html

-         https://www.nifc.gov/fire-information/statistics/wildfires

-         http://nfdp.ccfm.org/en/data/fires.php

-         https://climate.rutgers.edu/snowcover/chart_seasonal.php?ui_set=nhland&ui_season=1

-         http://www.data.jma.go.jp/fcd/yoho/typhoon/statistics/generation/generation.html

-         https://www.globalfiredata.org/regional.html#totals

-         https://cryospherecomputing.tk/

-         https://cryospherecomputing.tk/SIT.html

-         https://www.star.nesdis.noaa.gov/smcd/emb/snow/HTML/snow_extent_monitor.html

-         https://www.ccin.ca/index.php/ccw/snow/current

-         https://www.eldoradoweather.com/climate/world-extremes/world-temp-rainfall-extremes.php

-         https://www.tropicaltidbits.com/analysis/models/?model=gfs&region=eu&pkg=T2ma&runtime=2020010406&fh=0

-         https://www.tropicaltidbits.com/analysis/ocean/

-         https://tidesandcurrents.noaa.gov/sltrends/sltrends_station.shtml?plot=50yr&id=140-012

-         https://neo.gsfc.nasa.gov/view.php?datasetId=MOD_NDVI_M

-         https://www.meereisportal.de/en/

-         http://www.drroyspencer.com/

-         https://ads.nipr.ac.jp/vishop/#/extent/&time=2021-07-26%2000:00:00

-         http://www.meteoscienza.it/temperature-real-time/

-         https://osisaf-hl.met.no/v2p1-sea-ice-index